Il piatto nazionale della Romagna

I veri foodlovers lo preferiscono con il Crudo di Parma o con il Salame di Felino.

di Sabrina Cavallucci

"La piadina è il pane, anzi il cibo nazionale dei Romagnoli". Questa affermazione di Giovanni Pascoli riassume perfettamente l’essenza di questo prodotto, capace di rappresentare con la sua genuinità e semplicità la Romagna e la sua gente.

Riconducibile alla famiglia dei pani azzimi, ovvero non lievitati, la piadina nasce a partire da tre elementi basici quali farina, acqua e sale, arricchiti con l’aggiunta di strutto o lardo, fondamentali per ottenere quel gusto e quel sapore che la rendono unica e inconfondibile.

Il binomio tra piadina e Romagna è diventato inscindibile, come dimostra la recente nascita del “Consorzio di tutela e promozione della piadina romagnola” e il relativo disciplinare che ne regolamenta la lavorazione collocandola all’interno delle tre province di Ravenna, Rimini, Forlì-Cesena e in parte della Provincia di Bologna, ovvero nei 9 comuni lungo il tracciato del fiume Sillaro. Il “regno” della piadina ricalca dunque i confini della Romagna storica, una regione che, seppure non riconosciuta a livello politico e amministrativo, si caratterizza per una forte identità costruita attraverso secoli di storia e di tradizioni comuni.

Più sottile e ampia nel riminese, procedendo verso nord aumenta di spessore e diminuisce di diametro

Se le Sette Sorelle (Cesena, Faenza, Forlì, Lugo, Imola, Ravenna, Rimini) nelle quali si articola la regione romagnola presentano peculiarità particolari, pur essendo riconducibili a una comune matrice, anche la geografia della piadina sembra riflettere questa varietà di fondo: più sottile e ampia nel riminese, procedendo verso nord aumenta lo spessore e diminuisce il diametro, variano gli abbinamenti e cambiano i colori dei chioschi dei “piadinari” dislocati in tutta la Romagna. Ovunque resta però immutato il valore, al limite della sacralità, e le emozioni che la piadina suscita quando compare sulle tavole romagnole, sia che si tratti della piadina fatta dalla “zdora” di casa, sia che siano i cestini colmi di spicchi di piadine serviti come antipasti in ogni osteria romagnola che si rispetti. Inutile dire che annaffiare la piadina con un buon Sangiovese è quasi un obbligo per onorare la tradizione romagnola. 

 

La storia

Oggi la piadina è un bene di largo consumo, prodotto a livello industriale e non solo artigianalmente, ma non bisogna dimenticare che nasce come sostituto povero del pane, consumato dalle famiglie contadine in sostituzione del più costoso e meno saziante pane.

La storia della piadina parte da molto lontano nello spazio ma anche nel tempo ed è dunque difficile individuare in modo univoco le sue origini. Tracce di prodotti simili risalgono addirittura agli etruschi e anche gli antichi romani delle classi più agiate consumavano gallette azzime. Impasti simili divennero un elemento molto importante dell’alimentazione romana, anche se l’affermazione dei pani lievitati confinò progressivamente il pane azzimo alle pratiche religiose. Non va poi dimenticata la diffusione in tutto il bacino orientale del Mediterraneo di focacce non lievitate (la pita dei paesi balcanici) e anche la presunta etimologia dal greco plaukous (che per l’appunto significa focaccia) suffraga l’ipotesi di un retaggio della tradizione orientale, attraverso Ravenna, capitale dell’Impero bizantino e porta verso l’Oriente. L’analogia con il pane azzimo ha suggerito un’altra ipotesi su come la piadina sia arrivata in Romagna, ovvero attraverso la comunità ebraica di Ferrara.

Al di là di queste origini controverse, quella della piadina è la storia di un eterno ritorno, nella quale si sono alternate fasi di oblio e rinascite. È nei periodi di carestia che si afferma il consumo di impasti azzimi, con le classi contadine che ricorrono a focacce fatte con cereali meno pregiati e senza lievito per far fronte ai periodi di indigenza, come nel tardo medioevo.

 

 

La ricetta

La prima ricetta riconosciuta della piadina risale al 1371 con la Descriptio Romandiola del Cardinal Legato Anglico de Grimoard:

Si fa con farina di grano intrisa d'acqua e condita con sale. Si può impastare anche con il latte e condire con un po' di strutto”.

Da questa descrizione è cambiato poco, in quanto per fare una buona piadina occorre impastare 500 g di farina con 300 g di strutto, aggiungere sale, un pizzico di bicarbonato di sodio e tanta acqua tiepida fino a ottenere un impasto duro. L’impasto va poi steso, più o meno sottilmente, in cerchi di circa ½ cm di spessore  e del diametro di 15 cm e cucinato sul testo, un disco di terracotta rovente posto direttamente sulla brace.

La piadina, buonissima anche da sola – soprattutto se appena cucinata – si presta per svariati tipi di abbinamenti, in particolare con salumi (prosciutto in primis) e formaggi, a partire dallo “squacquerone”, formaggio morbido tipico della Romagna, arricchito spesso e volentieri con qualche ciuffetto di rucola.

Una interessante variante è data dal “cassone” o “crescione”, una piadina farcita, ripiegata e chiusa prima della cottura. La gamma di farciture è molto ampia e in grado di soddisfare tutti i gusti, ma il ripieno per eccellenza è dato dalle erbe di campo, molto presenti nella tradizione gastronomica romagnola, come la bietola o il crescione, che non a caso dà il nome a quest’altra specialità.

Sempre a partire dall’impasto della piadina, steso molto sottile, si possono ottenere i tortelli alla lastra, piatto tipico della Romagna collinare: in questo caso la farcitura è composta da patate lesse condite con pancetta, formaggio grattugiato e pepe. Questo ripieno viene distribuito su metà della sfoglia e coperto con la restante metà, con una rotella si chiudono i tortelli in forme quadrate per poi essere cucinati su una lastra.

 

 

Il racconto che Giovanni Pascoli fa nella poesia “La Piada” (da “I nuovi Poemetti”) offre il ritratto forse più suggestivo della piadina e di ciò che rappresenta. Ecco come ne descrive la preparazione:

 

Il mio povero mucchio arde e già brilla:

pian piano appoggio sopra due mattoni

il nero testo di porosa argilla.

 

Maria, nel fiore infondi l'acqua e poni

il sale; dono di te, Dio; ma pensa!

l'uomo mi vende ciò che tu ci doni.

 

Tu n'empi i mari, e l'uomo lo dispensa

nella bilancia tremula: le lande

tu ne condisci, e manca sulla mensa.

 

Ma tu, Maria, con le tue mani blande

domi la pasta e poi l'allarghi e spiani;

ed ecco è liscia come un foglio, e grande

 

come la luna; e sulle aperte mani

tu me l'arrechi, e me l'adagi molle

sul testo caldo, e quindi t'allontani.

 

Io, la giro, e le attizzo con le molle

il fuoco sotto, fin che stride invasa

dal calor mite, e si rigonfia in bolle:

 

e l'odore del pane empie la casa.

 

 

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