Le carni dell'aria

In un lontano passato parmigiano, in città vi erano molti animali, diversi dei quali erano anche mangiati, secondo regole diverse, e che oggi sono proibiti non solo dalle leggi, ma soprattutto da un diverso sentire sociale.

A volte, solo parlarne, suscita reazioni emotive, in chi non conosce la situazione alla quale ci si riferiva in un passato ai più ignoto. Le carni degli animali urbani che oggi sono proibite, un tempo potevano o non potevano essere mangiate, secondo diverse condizioni e per questo sono state anche definite come carni ambigue. Senza entrare in troppi dettagli, le più significative di queste carni erano presenti in tutti gli spazi cittadini, dell'aria, dei tetti, delle strade e del sottoterra.

Partiamo dall’alto, iniziando a parlare delle cosiddette carni dell’aria.

 

            Il cielo urbano di Parma, molto più di oggi, un tempo era popolato da molti uccelli che nidificavano sotto i tetti o in colombaie di fortuna, o appositamente costituite. Gran parte di questi uccelli non si nutriva in città, ma si spostava nella vicina campagna o nei terreni incolti, dove trovava cibo, se non abbondante almeno sufficiente, in ogni periodo dell’anno. Salvo in caso di copiose e persistenti nevicate, in ogni stagione un territorio che non conosceva ancora l’arrivo della chimica era ricco d’insetti, vegetali e semi da mangiare. Anche in città, gli insetti volanti non mancavano, e seppure dessero fastidio ai suoi abitanti, erano pur sempre un cibo per molti uccelli, ad iniziare dalle rondini e dai rondoni. Carni dell’aria urbana erano i colombi, le rondini e i passeri.

 

            Colombi

Mangiar colombi o colombofagia é un’antichissima abitudine dei parmigiani, che si collega all’uso di questi animali come messaggeri in pace, ma soprattutto in guerra.

Nella nascente Parma, città militare, vi é presenza di colombi messaggeri. È molto probabile, se non certo. Dati storici ricordano che il colombo é il mezzo più rapido per le comunicazioni militari presso i Persiani, gli Assiri, gli Egiziani, i Fenici, i Greci ed i Romani. Giulio Cesare ne fa uso per conquistare le Gallie. Per questo bisogna ritenere che colombi messaggeri siano presenti nella Parma fondata dai Romani come sede militare, allo stesso modo nel quale sono presenti nella vicina Modena, fondata quasi contemporaneamente. Infatti é accertato che nel 43 a.C., durante le guerre che seguono l’assassinio di Giulio Cesare, Modena é tenuta da Decimo Bruto, uno dei congiurati delle Idi di marzo e che governa la Gallia Cisalpina per mandato del Senato. La città é assediata da Marco Antonio [1], contro il quale accorrono in difesa di Decimo Bruto i consoli Aulo Hirzio e Vibio Pansa, ed è noto che i contatti tra l’assediato Decimo Bruto ed Aulo Hirzio, superando l’accerchiamento di Marco Ottaviano, sono mantenuti da colombi messaggeri che fanno parte delle dotazioni belliche modenesi [2].

Il colombo viaggiatore vive con l'uomo in ambiente urbano e dà avvio ad una colombofilia che, con alterne vicende, arriva fin ai giorni nostri. Il colombo (Columba livia) non nidifica sugli alberi, ma negli incavi delle rocce e rapidamente si abitua a vivere nelle cavità casuali delle abitazioni umane, e poi preparate dall’uomo con le colombaie [3]. Quando ridiviene libero si trasforma nel colombo torraiolo, considerato anche un “randagio”. Dotato di un eccezionale senso dell’orientamento [4] e della capacità di tornare al suo nido anche da lontano, il colombo è sfruttato per il trasporto di messaggi, ma anche per un allevamento urbano, con un’alimentazione nel territorio circostante, a spese di altri [5]. L’allevamento urbano del colombo dà avvio a gare di velocità su diverse distanze

(i colombi viaggiatori in una giornata compiono rientri da settecento, ottocento ed anche mille chilometri, con velocità media di oltre settanta chilometri l’ora e punte che si avvicinano ai cento)

e a “giochi” guidati con bandiere tra i gruppi o stormi di diverse colombaie vicine. Ovviamente, non manca un impiego alimentare, sia dei colombi come delle loro uova [6].

La presenza dei colombi viaggiatori nella Parma romana non é senza seguito e, sia pur con alterne vicissitudini, dopo oltre duemila anni dà avvio alla colombofilia sportiva parmigiana. In Italia la colombofilia sportiva rinasce nel 1877 in Emilia Romagna, grazie al recupero di molti colombi, smarritisi in zona che partecipavano a una gara da Roma a Bruxelles. Dagli incroci di questi colombi nasce la prima razza Italiana di colombi viaggiatori il Colombo di Parma. Nel 1878, a Firenze, é fondata la prima Società Colombofila e immediatamente società colombofile vengono alla luce a Modena, Reggio Emilia, Parma e Bologna.

            A Parma quindi fanno parte della fauna dell'aria colombi selvatici o torraioli, e poi quelli addomesticati e mantenuti in colombaie. Una consuetudine, quella delle colombaie, che nella Roma imperiale vide Ottaviano Augusto imporre una tassa sulle deiezioni, o guano, che dalle colombaie cittadine, soprattutto di notte era esportato per concimare i campi. La giustificazione di questa tassa (ammesso ci sia una giustificazione delle tasse!) era che i colombi urbani si alimentavano delle terre incolte periferiche alla città, di pertinenza imperiale.  Una tassa che in seguito fu copiata dall'imperatore Vespasiano che impose un tributo sulle urine raccolte nelle terme e che uscivano dalla città. Da qui l’origine di chiamare vespasiani gli orinatoi pubblici.

            La presenza dei colombi domestici a Parma ne influenza anche la cucina, come dimostra la presenza di piatti tipici, come la bomba di riso con il piccione. Nessuno oggi si sognerebbe di mangiare colombi selvatici urbani o torraioli e ci si limita a mangiare sempre più di raro quello di allevamento urbano nelle colombaie, e si preferiscono quelli di allevamento agricolo, anche se questo avviene sempre più di rado.

 

            Rondini e passeri

            Completamente scomparsa é l’abitudine di mangiare altri uccelli che un tempo erano abbondanti in città come i rondinini di nido, dei quali, ad esempio, erano ghiotti i Farnese. I poveri invece si dovevano accontentare dei passeri, catturati con diversi artifici come trappole e reti, soprattutto dai ragazzi. Una misera preda, che più che nutrire serviva a insaporire un poco di polenta o un pancotto, dando l'impressione di un piatto di succulenta selvaggina, come si favoleggiava mangiassero i signori.

            Le tortore erano in prevalenza uccelli selvatici di cacciagione, mentre quelle con il collare sono di relativamente recente arrivo a Parma, nella prima metà del secolo ventesimo.

 

 

 

Note
[1] Lo stesso Marco Antonio conquistò e devastò anche Parma.
[2] Lunga e complessa è la storia bellica dei colombi viaggiatori, fin quasi a nostri tempi. I colombi viaggiatori hanno preso parte a tutte le guerre come portatori di dispacci; capaci di ritrovare la propria colombaia montata su carri militari, anche se questa si spostava in un raggio di cinquanta chilometri. Anche l’Esercito Italiano, fin dopo la seconda guerra mondiale, era dotato di colombaie militari. Durante lo sbarco in Normandia, i giornalisti al seguito delle truppe alleate poterono inviare i primi articoli dalla costa francese grazie ai colombi viaggiatori, che in poche ore arrivarono a Londra.
[3] Nel passato questo colombo era anche denominato “casalino”.
[4] Il senso dell’orientamento che guida il colombo nel suo ritorno al nido, secondo le più recenti ricerche scientifiche, si basa su tre sistemi tra loro coordinati, di tipo elettromagnetico, olfattivo e visivo.
[5] Su questa base, Ottaviano Augusto mise una tassa sul guano prodotto nelle colombaie presenti nella città di Roma, con esazione quando usciva con i carri che lo portavano nei campi, asserendo che i piccioni si erano nutriti di quanto era presente sui territori circostanti di sua proprietà.
[6] Accanto alle razze di colombi messaggeri, vi sono anche le razze di colombi da carne, di peso elevato e scarsi volatori, per questo detti sottobanca, in quanto allevati sotto una panca, anche se non manca l’ipotesi che si trattasse d’animali venduti clandestinamente ed al di fuori del normale circuito delle pollerie.
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La Rubrica

Anche gli animali fanno parte di una città, come sono visti, interpretati, accolti o rifiutati nelle mai finite espressioni della vita singola, familiare, sociale e urbana. Accoglimenti, rifiuti fino alla criminalizzazione di questa o quella specie o varietà animale si rendono visibili, se saputi leggere, anche nelle architetture e pitture, stili di vita, scelte alimentari e memorie locali.

Attraverso una sottile e al tempo stesso intricata e solo particolarmente svelata trama di rapporti e soprattutto di sentimenti, gli animali entrano a far parte dell’anima, e cioè dell’identità, di ogni città, seguendone sempre e con diversi modi l’evoluzione nel tempo.

E tante altre sono le suggestioni di come gli animali, o meglio il rapporto che l’uomo ha con loro, via via si vuole considerare in questo, come in successivi momenti.

L'Autore

Giovanni Ballarini

E' Professore Emerito dell’Università degli Studi di Parma, Dottore honoris causa presso l’Università di Atene e membro dell’Ordre du Mèrite Agricole della Repubblica Francese. E’ stato esperto in diverse commissioni del Ministero della Sanità e membro dello SCAN.

Nel corso della sua carriera ha svolto un’intensa attività di ricerca scientifica in vari campi della clinica veterinaria. Negli ultimi 30 anni ha sviluppato interessanti studi sugli aspetti antropologici dell’alimentazione umana, pubblicando numerosissimi libri, monografie ed articoli, questi ultimi spesso con lo pseudonimo di John B. Dancer.

E’ Direttore e giornalista della rivista “Civiltà della tavola” dell’Accademia Italiana della Cucina, di cui è Presidente dal 2008, infine è Vicepresidente de l’Académie Internationale de la Gastronomie.